Anche il sole è una stella
di Agata Polizzi
Nella ricerca di Stefania Galegati Shines ho sempre avuto come l’impressione di trovare uno sguardo molto simile a quello che hanno i bambini: un misto di curiosità e purezza. Come loro anche lei, non senza timore e con molto rispetto, sfiora storie incredibilmente grandi scegliendo di restare sempre un passo fuori, per poter guardare meglio. Sia quando l’interesse è per l’individuo, per i diritti dell’uomo o per la storia contemporanea, Galegati Shines non cerca mai una verità, semmai pone delle domande, cerca delle risposte. Lei che ha vissuto in molti luoghi e forse anche in molte vite, resta sempre lucidamente distaccata, resta capace di osservare cose ovvie con la stessa profondità riservata a quelle che sconquassano l’esistenza.
Modalità Aereo, la sua ultima personale alla galleria Francesco Pantaleone, la riporta a Milano segnando un importante momento di attenzione sulla poetica dell’artista italiana, anche rispetto alla sua ormai ventennale carriera internazionale.
Resiste quella visione acuta e rivolta costantemente alla società e alle sue pratiche culturali, una narrazione dei fatti spesso scabra, restituita con soluzioni geniali e mai convenzionali, un punto di vista “fuori dalla porta di servizio”, come lei stessa lo definisce.
Osservatorio fermo sui dettagli che nessuno vede o vuole vedere, sulla scomodità di confrontarsi con le situazioni nei loro aspetti marginali o nelle zone d’ombra. Le opere in mostra in Modalità Aereo sono molto diverse tra loro, ciascuna è la traccia del vissuto dell’artista: la sua lunga permanenza in una città complicata come Palermo, la recente esperienza del Caffè Internazionale, le battaglie culturali, la maturità di donna e madre di Quarant’anni, il rapporto con gli studenti, i dubbi di sempre.
E’ un racconto complesso e a tratti amaro il suo, condotto con ironia ma anche con una consapevolezza che dà consistenza. In Torno subito la scultura che mette insieme materiali recuperati dalla strada c’è la sintesi di una pratica assai diffusa al Sud, ovvero la pretesa di occupare lo spazio pubblico per uso privato, Galegati Shines riusa quegli stessi materiali che ogni giorno per le strade dei quartieri popolari di Palermo reclamano come barricate la proprietà laddove non c’è, e lo fa solo per sottolineare la bellezza di un gesto creativo che annulla il degrado.
Invita a non fermarsi ma a proseguire e continuare a sognare.
Alla scultura fanno eco Palermo scupltures #1 -7 i disegni su carta alimentare, che illustrano come appunti preparatori le improbabili sculture improvvisate dai cittadini, anni di osservazione e raccolta immagini che si trasformano in un lavoro di archivio non solo visivo ma soprattutto di storie comuni di ordinaria anarchia. Foro Italico è la “cartolina” ideale di Palermo, un lavoro potente, visionario e poetico. Galegati Shines sceglie uno degli alberi storici che vivono sul lungo mare cittadino, un rigoglioso Ficus elastica, nella sua chioma verde e leggera ritaglia, senza fargli alcun male, una finestra rotonda, un buco di luce da cui si intravede il cielo.
Sullo sfondo di questa finestra immaginaria s’intravedono il Porto, le gru dei Cantieri Navali, i tetti delle chiese, c’è il brusio della città, e poi c’è Monte Pellegrino, imponente con il suo peso e la sua età, lì da sempre, proteso verso il mare.
In questo sguardo c’è la speranza e il disincanto, c’è l’amore e la rabbia. C’è l’umanità.
Tra le opere a Milano s’inserisce anche l’impronta del Caffè Internazionale, l’esperienza di Stefania Galegati Shines e Darrell Shines che per anni ha animato Palermo aggregando artisti, musicisti intellettuali e amici attorno ad un luogo di produzione culturale underground e per questo assolutamente libero ma anche fragile e incontaminato. Resta dopo la volontaria chiusura lo scorso luglio la sua memoria, qui formalizzata in un’installazione di oggetti provenienti dal Caffè, testimonianza fisica di un luogo dell’anima.
Infine, Palette#1 (Sofonisba) il lavoro che più di tutti racconta dell’essere donna e della sua maturità personale. Stefania Galegati Shines riduce il segno a singoli pixel, in questo caso tratti dalla palette di colori utilizzata per dipingere la Santa Maria dell’Itria realizzata dalla pittrice Sofonisba Anguissola agli inizi del Seicento.
In questo segno minimo sta tutta l’urgenza di una scelta, il gesto di chi non ha necessità di apparire ma solo di essere.
Un tassello infinitesimale che è matrice di un’immagine più ampia, minimo, eppure abbastanza forte per definirsi.
Ma chi è Sofonisba? Nata a Cremona, pittrice apprezzata, colta e spregiudicata, tenace, ammirata dagli uomini, cara a Van Dick, sposa nel 1573 il nobile Fabrizio Moncada e incrocia così la Sicilia, dove con alterne vicende resterà a lungo e dove è morta.
La sua vicenda singolare, in un tempo lontanissimo e non facile, traccia le fila di una rivendicazione perpetua dell’identità di genere, della necessità di affermazione di una donna, della possibilità di essere fedele a se stessa, sempre. Con la “modalità aereo” Galegati Shines sceglie deliberatamente il distacco, trova spazio per prendersi del tempo, per disconnettersi, per fare un passo indietro. Una disposizione che consente di osservare e di ascoltare, un esilio volontario dall’enorme sovraesposizione mediatica, una modalità di ricerca attraverso cui indagare le fragilità con cui siamo abituati a convivere per fare i conti con una condizione precaria, ma su un piano che è rivolto all’esterno. Ne consegue una narrazione intima, intensa, inaspettata, che mi riporta a quella sensazione iniziale, la stessa che fa sì che quando tutti disegnano le stelle, lei, Stefania, disegni il Sole, perché sì, anche se lì per lì non ci pensi, anche il Sole è una stella.