Lo studio della realtà nel suo complesso trova in ambito filosofico differenti approcci di indagine, se indagata ontologicamente e dunque in termini metafisici, la realtà coincide con la ricerca delle essenze, le cose in sé o gli oggetti della logica, in termini mitologici e teologici, invece, essa viene espansa fino alla concezione di un Assoluto che spesso tuttavia si trova non al di là dell’essente ma totalmente intriso di esso, ovvero della potenza della natura. Il cardine della ricerca artistica di Ignazio Mortellaro è estremamente mobile, quasi “strisciante”, esso come un serpente tocca fluidamente ognuno di questi approcci gnoseologici i quali convergono tutti verso la comprensione più prossima dell’essere; se l’ontologia è lo studio del fondamento di quel che esiste e del come esiste, allora essa implica anche la ricerca del senso profondo di ogni essere reale. Ciò è anche attinente all’antropologia filosofica e quindi alla domanda circa il senso dell’esistenza dell’uomo che pensa e che si pensa. Ogni domanda intorno al “soggetto”, all’”oggetto” e circa la loro “relazione”, dunque tra “io” e “mondo”, è anche una domanda ontologica. Ecco che il cerchio metaforicamente si chiude e così facendo ruota all’impazzata.
Ignazio Mortellaro racconta il rapporto tra Uomo e Natura in una vera e propria pars construens che genera opere eterogenee, tra cui: sculture, collage, video, fotografie e installazioni realizzate in diversi materiali soprattutto metallici, come ferro e ottone, oppure rimodellando gli elementi trovati in natura e gli oggetti abbandonati che l’artista ripensa e trasforma. Grazie agli studi compiuti dall’artista sia in ambito architettonico sia ingegneristico, le sue opere risultano essere il frutto di una coesistenza armonica tra differenti discipline, tra cui: scienza, filosofia, musica e letteratura; il disegno inoltre gioca un ruolo centrale in tutte le fasi di progettazione. “Tutta la mostra è metaforicamente intesa come la figurazione di una donna che genera e rigenera il mondo, una natura madre, cacciatrice e sacerdotessa. Il paesaggio è in formazione, il tempo è lontanissimo, la società non esiste al di là di piccoli gruppi sparsi in una terra vastissima, arida e quasi disabitata. Il mito è vivo e ha le sembianze di un serpente che si insinua in una dimensione temporale scandita dai passi. Le Menadi cantando, danzando e vagando come animali per monti e foreste, vanno a caccia di uomini che si avventurano in una dimensione notturna sovraccaricata da un clima desertico. La sorte gioca con gli astragali e ha le mani di una bambina.” (I. Mortellaro)
Il termine italiano “madre” deriva dall’accusativo latino matrem, che trova corrispondenze nelle lingue antiche, come nel greco antico (μήτηρ), nel sanscrito matṛ (मातृ), nel persiano mâd, nell’antico slavo mati e nelle lingue moderne, come in inglese mother, in tedesco mutter, in francese mère e nel portoghese mai. Secondo alcuni il termine presenta la ricorrente lettera M per la facilità di articolazione della stessa, che si adotta perfettamente all’apprendimento del linguaggio nei bambini. Secondo altre ipotesi il termine deriva dalla radice sanscrita mâ– “misurare”, “ordinare” da cui il concetto del lavoro materno (matṛ in sanscrito dal significato di “ordinatrice”), che mette in evidenza la funzione formatrice della madre (da qui derivano anche i termini mano, metro, mese, morale, ecc.).
È così che ogni essere umano attribuisce alla figura materna un carattere socratico – in riferimento alla madre di Socrate, una levatrice e dunque una matṛ doppia – attribuendole un ruolo fondamentale, viscerale e cruciale per la crescita interiore, in una dimensione in cui tempo e spazio risultano essere infiniti e in cui l’antinomia fra ratio e religio continua a persistere. Un’indagine lucida e rarefatta, fatta di impronte, sull’oscuro universo del pensiero e della Natura, una ricerca dell’Essere e del suo fondamento ultimo.
Domenico de Chirico