a cura di Lorenzo Bruni
Sonnet Cycle è il titolo del progetto con cui Domenico Mangano & Marieke van Rooy celebrano il loro nuovo approccio alla necessità di stimolare il serbatoio della memoria collettiva al tempo della “post-verità”. Il video, i disegni, le sculture e le fotografie che hanno realizzato nell’arco del 2018 – a partire dal progetto realizzato per l’evento collaterale di Manifesta 12 a Palermo dal titolo “Paesaggi Mentali / Traiettorie Naturali” all’interno del Museo Geologico G. Gemmellaro – puntano a scoprire una metodologia alternativa al dialogo mediatico vigente, ma anche ad individuare un nuovo ruolo dell’opera d’arte nell’era del museo/archivio diffuso. Le nuove opere prodotte per Palermo confrontandosi con le poesie del Duecento, come quelle successive nate dal dialogo con l’enciclopedia olandese dello stesso periodo medioevale, puntano a rendere consapevole lo spettatore del punto di vista fisico e specifico in cui si trova ad interagire con il mondo e con le informazioni prodotte da esso. La coppia di artisti, che lavora assieme dal 2014, mette in evidenza il proprio modo di trasformare i meccanismi della narrazione per condividere le varie sfumature possibili con cui interpretare i fatti del reale per stabile un nuovo incontro con esso. Incontro che nelle loro opere sfiora la dimensione dell’assurdo, da favola, spesso al limite con il grottesco. Questo perché sono consapevoli che portare avanti tale riflessione sul concetto di veridicità dell’esperienza diretta ai tempi della “modernità liquida” equivale a rifondare quello che intendiamo oggi per “principio di realtà” a livello collettivo.
I sonetti, le poesie, le favole, evocate dal titolo di questo nuovo ciclo di lavori, non si riferiscono a vicende inventate, piuttosto al meccanismo che l’uomo adotta per dar vita a delle macchine con cui creare storie da narrare di soggetto in soggetto per alimentare la trasmissione del sapere e la curiosità per la conoscenza. Questo è l’approccio che ha portato i due artisti a rivolgersi ai metodi dei poeti siciliani medievali, attraverso i quali hanno creato un confronto con il paesaggio di tipo non mediato, ma stratificato. Gli stessi Mangano e van Rooy spiegano: “Il video Sonnet Cicle, nato per una mostra al Museo Geologico Gemmellaro di Palermo, è stato fatto principalmente con immagini nere e surreali, magiche, quasi irriconoscibili. E’ un video narrato in parte in dialetto siciliano, in parte in olandese; i due linguaggi che caratterizzano la nostra coppia. I sottotitoli sono invece in inglese che è la lingua internazionale. Le storie raccontate consistono in una serie di sonetti, scritti e recitati da noi, in cui la flora, la fauna e il cemento di Palermo sono i protagonisti. È un viaggio di parole e contesti surreali che sfociano in micro-storie sul biotopo della città. Per questo lavoro abbiamo reinterpretato il sonetto, inventato nel XIII secolo alla corte di Federico II in Sicilia. Questi erano i primi poemi di un élite culturale scritti in lingua volgare e noi ci siamo chiesti quali sarebbero state le contraddizioni che avrebbero messo in luce oggi, per ripensare a tutte le contraddizioni dell’età contemporanea”. In un secondo tempo, dopo la mostra palermitana, gli artisti si sono invece trovati a cercare un confronto con il libro miniato, completamente in rima, “Der naturen bloeme (Il fiore della natura)” di Jacob van Maerlant, del1271 circa. Quest’ultimo è la prima enciclopedia naturale scritta in olandese che riporta questioni di botanica e racconti su vari popoli, veri o presunti, sintetizzati attraverso specifici attributi: ‘coloro che mangiano solo attraverso una cannuccia’, ‘quelli che hanno i piedi grandi per proteggersi dal sole gli occhi sulle spalle’. Se il primo nucleo di lavori si esplicava con un video e dei disegni allestiti su una struttura in marmo, simile al bancone del pesce dei mercati, quest’ultimo prende forma in una serie di fotografie in cui le immagini delle pagine del libro miniato olandese sono divenute schermi e maschere da cui lo sguardo degli artisti osserva l’ipotetico osservatore, in un nuovo gruppo di sculture in legno. Entrambi i progetti, esposti nella mostra alla galleria Francesco Pantaleone di Milano, sono come due facce della stessa medaglia, che ha l’obiettivo di mettere in dialogo il visibile con l’invisibile, l’esperienza con il racconto di questa stessa.
Domenico Mangano & Marieke van Rooy procedono, grazie a questo nuovo progetto, nello spostare l’attenzione dall’atto di documentare il mondo – e destrutturare la memoria per lavorare sulla oggettività delle cose – all’ambito della visionarietà e dell’arcaicità. Proprio questa visionarietà sembra essere per loro il viatico per dialogare con un mondo che ancora non ha compreso la portata della rivoluzione digitale, la quale rimarca la perdita di centralità dell’uomo, non solo all’interno dell’universo (permessa dalle scoperte galileiane) e del pensiero (con la psicoanalisi di Freud), ma anche nell’infosfera. Le informazioni che ci riguardano oramai vivono indipendentemente dal loro autore e in un tempo espanso non più legato all’atto del comunicare in tempo reale. Come afferma Luciano Floridi – direttore di ricerca e professore di filosofia ed etica dell’informazione all’Università di Oxford – nel suo libro recente, “La quarta rivoluzione”, “in pochi anni siamo passati da una cultura millenaria della registrazione – che cosa salvare a futura memoria – a una cultura della riscrittura e cancellazione – che cosa rimuovere o editare a futuro oblio – che dobbiamo ancora capire. Mentre per loro natura i dati digitali si accumulano, come la polvere in casa: si pensi alle foto o alla musica nel cellulare”. Quest’approccio risulta ancora più interessante se associato a Mangano, che è stato tra i primi artisti, alla fine degli anni Novanta, ad aver assunto la memoria personale e collettiva non solo come soggetto, ma anche come medium dell’opera, per indagare il ruolo dello spettatore e dell’arte in un mondo post-ideologico, che diventava globale con la veloce diffusione della rete di internet. Con il loro ultimo lavoro, difatti, gli artisti ci ricordano che oggi non è importante saper comunicare a tutti e a tutto, ma comprendere chi vogliamo rivolgerci per stabilire un dialogo che non sia soltanto una manifestazione di sé.
conversazione tra Lorenzo Bruni e gli artisti
Lorenzo Bruni: Le opere del ciclo Sonnet cycle, realizzate partendo dai sonetti medioevali siciliani, e quelle realizzate a partire dall’enciclopedia olandese dello stesso periodo storico, si rivelano essere le due facce della stessa medaglia puntando ad indagare non soltanto cosa è la realtà o cosa può essere inteso per opera d’arte. Questo nuovo metodo di lavoro permette infatti di alzare il livello di immaginazione e di interpretazione delle regole stesse con cui porsi tali domande. Partiamo dall’inizio, ovvero, dal lavoro site specific prodotto per il museo geologico Gemmellaro a Palermo in occasione dell’evento collaterale che ho curato a Manifesta 12. Nello specifico, se ripenso al video, ho difficoltà a trovare una sintesi con cui descriverlo. Il video è la rappresentazione del processo con cui noi tutti cerchiamo di fare esperienza del reale, di scoprire le cose e di dargli forma. E’ una grande sfida. Quindi, paradossalmente, quello che mi ricordo del lavoro sono i vuoti tra una parola e l’altra, tra un’immagine nera e l’altra. La sospensione dell’esperienza per potervi dare un senso. E’ una sensazione disarmante quanto epifanica. Questa sospensione dell’azione e del parlato è un aspetto tecnico del lavoro oppure il suo concetto centrale?
Mangano & van Rooy: La sospensione è insita nella natura del sonetto. Per realizzarli abbiamo seguito le regole stilistiche classiche del passato. Nel comporli, i sonetti, devi calcolarne la metrica, il ritmo, le pause con cui vengono pronunciate tutte le parole. Invece, la scelta di avere un fondo nero, che poi nero non è, essendo proiezione di luce sullo schermo, nasce dalla volontà di concentrarsi più sul suono delle parole e dare spazio alla fantasia. Questo è un aspetto concettuale fondamentale nel video, l’intento era quello di non descrivere un paesaggio, ma dare piuttosto degli stimoli con cui poterlo immaginare. All’inizio lo spettatore assiste alla visione d’immagini sulfuree e ad un dialogo mentale (solo per testo e non per immagini) di un resoconto su cosa è Palermo, come noi la percepiamo e la sentiamo. Il testo è in inglese, lingua in qualche modo neutrale non essendo la lingua madre di nessuno dei due. Poi ci sono i nostri sonetti in siciliano e in olandese che raccontano le nostre sensazioni e visioni di una Palermo vaneggiante, una serie di racconti completamente inventati che, partendo da soggetti o elementi reali, si disserrano in altre entità cerebrali. Quello che produciamo è così un’immagine del possibile.
Lorenzo Bruni: Come siete arrivati all’esigenza di lavorare sulla stimolazione della fantasia?
Mangano & van Rooy: Lo spostarci sul piano dell’immaginazione, rispetto all’osservazione documentaristica del reale, è dovuta ad una questione di site specific, ma anche ad un’esigenza generale della nostra attuale ricerca. Il lavoro che abbiamo realizzato per il museo Gemmellaro si inseriva in un ambiente museale che ricostruisce paesaggi lontani come la Palermo di cinque milioni di anni fa sommersa dall’acqua. Da qui la volontà di presentare un video, la cui narrazione è al limite tra la seduta psicoanalitica e la ricerca dell’archeologo. I frammenti e i reperti che ritroviamo nelle nostre memorie, e che condividiamo, non sono però cristallizzati come quelli del museo Gemmellaro, piuttosto mescolati con tutto quello che succede oggi. Possiamo paragonare il nostro video ad un magma, un “pensiero plastico”, dove non ci si fossilizza più solamente sull’aspetto causa-effetto, ma in una moltitudine di stratificazioni disarmanti, disorientanti e propositive di cose che si impastano e diluiscono.
Lorenzo Bruni: Pensiero plastico. Un pensiero in divenire. E’ una sorta di mitologia che produce nuove storie e immaginazioni. E’ una narrazione per immagini che si presenta al pari di una scultura o di un monumento pubblico. Il video, però, e a uno sguardo frettoloso, soprattutto all’inizio, propone tracce incomprensibili, immagini nere e lingue differenti.
Mangano & van Rooy: Con Sonnet Cycle abbiamo reagito a un mondo in cui con Google Traslate o Wikipedia chiunque pensa di poter capire immediatamente tutto senza farne esperienza. Potremmo paragonare il meccanismo che mettiamo in pratica all’interno del video all’effetto del telefono senza fili in cui una persona necessariamente doveva assumersi la responsabilità di fermare quello che pensava di aver capito e di fornirlo come nuovo strumento.
Lorenzo Bruni: I disegni, collegati al video, come s’inseriscono in questo tipo di ricerca?
Mangano & van Rooy: I disegni sono le tracce, i frammenti di quelle idee che in un certo senso estrapolati proprio da quel pensiero plastico di cui parlavamo prima. Rispetto al video, dove le immagini sono molto evocative, i disegni sono stranamente iperrealistici, come se dopo una centrifuga veloce in lavatrice, in cui tutto è astratto, apri l’oblò e rimetti a fuoco i singoli pezzi. Un aspetto rilevante dei disegni è anche l’accostamento surreale dei soggetti presentati. In ognuno di essi appaiono dei soggetti in contrasto, come un caprone e un penumatico, una principessa e dei denti ecc., ma non è chiaro chi sia l’estraneo. I disegni rappresentano i trofei di una ricerca e di una stratificazione di pensieri, che si trasformano poi in strumenti per una critica al presente che porta a mercificare tutto. Sono presentati su un piano di marmo, posto su una struttura di metallo che rimanda ai banconi dei mercati palermitani in cui vendono il pesce…li abbiamo ironicamente chiamati “sonetti freschi”, appena pescati. In entrambi i lavori, nel video e nei disegni, agiamo come dei “performer per inerzia”, siamo portati ad agire e manipolare non degli oggetti ma dei modi di vedere le cose per ottenere un nuovo modo di confrontarsi con la produzione della cultura e non solo con la sua memoria.
Lorenzo Bruni: da questo nuovo lavoro emerge la vostra voglia di confrontarvi con la realtà proponendone una sua trasformazione per mezzo, da una parte, della sua appropriazione in senso intimo e personale, e dall’altra di una stimolazione della capacità da parte della collettività di immaginare le cose. Questa esigenza è la stessa che vi ha portato, dopo il lavoro su Palermo, a concentrarvi su un oggetto particolare come il libro miniato “Der naturen bloeme” (Il fiore della natura) di Jacob van Maerlant?
Mangano & van Rooy: Dopo il lavoro che riscriveva in chiave moderna la scuola poetica siciliana è venuto quasi naturale lavorare con questo libro in rima dello stesso periodo, ma fatto con tutto altro scopo e dall’altra parte del mondo. Jacob van Maerlant ha realizzato la prima enciclopedia in olandese stratificando in un solo libro le conoscenze di tante altre fonti e di libri latini che giravano in tutta Europa. E’ stato interessante scoprire che nella sezione sulla natura l’autore ha inserito una lunga descrizione dei popoli estranei, e per questo strani. Settecentocinquanta anni fa, di fatto, un olandese non sapeva com’era un africano, o un siciliano. Per questo lascia correre liberamente la fantasia e tratta supposizioni come dati reali, descrive uomini dai piedi grandi che si proteggevano dal sole, o esseri umani con gli occhi sulle spalle. Ci è sembrato interessante pensare ai meccanismi, anche arcaici, con cui si forma l’idea di gruppo per mezzo della presenza dello straniero, e anche come un racconto di fantasia può plasmare i meccanismi di percezione della realtà. L’immaginazione è il motore di questo libro. L’autore non può vedere questi popoli ed ecco che li immagina e fa partecipare a questo gioco di immaginazione il lettore di epoca medioevale. È lo stesso principio che abbiamo utilizzato nel nostro video su Palermo. Per questo ci ha attratto.
Lorenzo Bruni: Come vi siete relazionati con questa particolare enciclopedia miniata e in rima di epoca medioevale?
Mangano & van Rooy: Avremmo voluto visionare il testo originale, abbiamo provato a chiedere il permesso, ma questa esperienza purtroppo ci è stata negata. Di conseguenza, non potendo interagirci, ci siamo inventati un modo stravagante per farlo nostro. Abbiamo ingrandito e stampato la versione digitale di alcune di queste miniature entrando nelle immagini: ritagliandole e usandole come delle maschere da indossare con cui guardare il mondo. Abbiamo poi ri-fotografato il tutto dando vita a dei collage arcaici che inscenano una nuova relazione tra realtà e fantasia, tra macro e microcosmo. Tuttavia non ci bastava; volevano comunque tre livelli. Così, al piano delle immagini delle pagine del libro antico e a quello della nostra presenza che osserva dai ritagli, ne abbiamo aggiunto uno ulteriore. Abbiamo applicato una plastilina colorata sulle fotografie stesse che poi abbiamo ri-fotografato ancora. La plastilina è ancora qualcosa in divenire, che si sta creando. Fotografare la plastilina sopra l’immagine dell’immagine ha permesso un ulteriore scarto illusorio e tridimensionale, proprio per via della sua ombra sopra la foto. Ci piace quest’effetto perché non sappiamo neanche noi come definirlo, è prettamente analogico, ma dà l’illusione di qualcos’altro. Questi tre livelli sono la somma perfetta, così come la metrica che fa combaciare le parole nei sonetti. Nell’opera finale, una serie di dieci fotografie, si vede il nostro sguardo e non si capisce perché il documento di un libro antico, con immagini di popoli strani e paesaggi, è diventato una maschera, si vede la miniatura e allo stesso tempo un altro mondo permesso dai ritagli e dalla materia della plastilina. E’ un’immagine naturale, tuttavia perturbante. Del resto, da sempre l’arte è una cosa che esiste e non esiste, fantasma, illusione.
Lorenzo Bruni: La relazione tra la fotografia del libro, la plastilina e poi quello degli occhi che ci osservano, al di là della fotografia, crea un disorientamento totale. Con queste immagini legate al duecentesco libro miniato olandese mettete non soltanto in evidenza il processo con cui ne prendete le misure e lo trasformate, ma anche come ribaltate continuamente la relazione tra osservatore e oggetto osservato. Il tema che sollevate è quello di chi guarda chi, ovvero, la questione di chi possa essere definito lo straniero. Oggi siamo tutti stranieri e indigeni allo stesso tempo. E’ questa la questione che volete far prendere in considerazione allo spettatore?
Mangano & van Rooy: Si, esatto. In questo mondo globale siamo stranieri. Se ci confrontiamo direttamente con il libro ci rendiamo conto dell’idea che il disegno si mescola con noi. Allo stesso tempo, volevamo sottolineare come il descrivere qualcosa che non si conosce equivale in qualche modo a definire se stessi. Descrivendo gli altri, il narratore medioevale forniva inconsapevolmente, o consapevolmente, un’idea di come era la società di cui faceva parte. Oggi non ci poniamo la domanda di come fare a descrivere un africano perché abbiamo tutto a portata di click, tuttavia esistono altre categorie di estraneo. Inoltre, queste immagini non sono pensate solo come il frutto di una performance privata nel momento, la loro appropriazione nasce da un’esigenza molto pratica. Ti raccontavamo prima che il museo che conserva il libro non ci ha dato la possibilità di osservare in prima persona il libro, perché ha dato per scontato che fossero sufficienti le immagini riprodotte digitalmente in rete. Allora ci siamo chiesti: chi ha davvero acceso a quel libro? Così abbiamo preso queste immagini da internet e abbiamo escogitato il mezzo dell’intervento e del ritaglio per renderle fisiche e reale l’appropriazione, che diviene pertanto rielaborazione.
Lorenzo Bruni: Quindi le fotografie che avete realizzato non sono il punto di arrivo di una ricerca sulla memoria collettiva, bensì un nuovo strumento con cui ripensare al ruolo dell’immaginazione nella ri-definizione dell’osservatore attivo?
Mangano & van Rooy: Probabilmente si. Le foto sono installate in alto così da creare una presenza particolare nel contenitore architettonico in cui si inseriscono; provocano una sensazione simile a quando si entra in un tempio o in una chiesa. Sempre da questo processo di confronto con il reperto del libro miniato da cui sono scaturite le immagini sono nate anche una serie di sculture di legno. Sono dei blocchi di legno tagliati come dei libri. Da ogni lastra di legno esce un naso o un orecchio: sono dei libri-volti, libri-ritratti. Anche in questo caso si tratta di attivare un dialogo tra macro e micro. Le due opere assieme ci ricordano che è fondamentale prendere atto del luogo da cui possiamo guardare il mondo (che apparentemente non ha più segreti per noi), ma anche da cui poterlo immaginare.
Lorenzo Bruni: Osservando assieme il lavoro su Palermo e quello sul libro olandese emerge questa idea dell’appropriazione, ma non nel senso della appropriazione di duchampiana memoria. Appropriandovi di queste informazioni, le fate uscire dal loro essere innocue, gli fate avere carattere. Potrei dire che con le vostre opere create delle macchine per l’esperienza e per sognare. Questi due lavori parlano non solo del meccanismo di come narrare le cose, né di quello della memoria, bensì di come si può immaginare. Immaginare non è mai una cosa esclusivamente privata. Questo è un grande cambiamento, rispetto anche a tutto il percorso degli ultimi 20 anni di Domenico, in cui ha lavorato sul guardare in maniera differente la realtà. Cos’è cambiato con il lavoro precedente?
Mangano & van Rooy: Oggi, nel mondo digitale e della post-verità, è cambiato il modo con cui le persone si rivolgono al passato e alla trasmissione del sapere. Per questo è mutato anche la mia/nostra relazione con la realtà. La nostra collaborazione nasce proprio da questo nuovo modo di pensare al dialogo con la realtà. Oramai non possiamo più pensare di lavorare sulla memoria collettiva e sull’archivio in maniera distaccata, come dei ricercatori. Assumere quel ruolo da parte di noi artisti quindici anni fa era una denuncia del sistema, oggi può diventare un manierismo estetico. La scelta quindi è di lavorare sul surreale, non solo sul rapporto tra personale e collettivo, ma anche tra interiorizzato ed esteriorizzato. Oggi noi lavoriamo come dei performer: ‘performiamo’ la memoria e il paesaggio di Palermo, così come ‘performiamo’ le immagini del paesaggio miniato. Siamo coinvolti ed entriamo all’interno dell’opera. Assumiamo i rischi, ma ci prendiamo anche la necessità di leggerezza e autoironia. Cerchiamo di crearci il nostro archivio, più che un’appropriazione seriosa fine a se stessa. Come uno scherzo, prendiamo un’immagine e ne facciamo una maschera da cui decidiamo di guardarti…
artisti: Domenico Mangano & Marieke van Rooy
titolo: Sonnet Cycle
a cura di: Lorenzo Bruni
luogo: Francesco Pantaleone Milano, via San Rocco 11
inaugurazione: 12 Dicembre ore 18:00
durata: dal 13 Dicembre al 9 Febbraio 2019
orari: dal martedì al sabato dalle 15:00 alle 19:00
info: +39 0287214884 / info@fpac.it / fpac.it