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Luca Pancrazzi – come sempre dove sai

Oltre il limite dell’orizzonte

La domanda è come un coltello che squarcia la tela di un fondale dipinto per permetterci di dare un’occhiata a ciò che si nasconde dietro.
Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere, 1988

Per la sua prima personale nella Galleria Francesco Pantaleone Arte Contemporanea, l’artista ha concepito un progetto site-specific che coinvolge lo spazio architettonico della galleria in una grande installazione ambientale. La mostra è il risultato di una lunga frequentazione di Luca Pancrazzi con la città di Palermo e la terra di Sicilia. E’ coinvolto nel progetto anche l’artista visivo e sound artist Alessio de Girolamo, che ha registrato il suono emesso dalla matita di Pancrazzi nel disegnare un paesaggio. Da questa campionatura, de Girolamo ha elaborato una traccia sonora originale, dal titolo Skyline – eseguita dal vivo durante l’inaugurazione della mostra – per un video di Pancrazzi proiettato nell’ingresso del settecentesco Palazzo Di Napoli ai Quattro Canti, sede della galleria. Questa personale è occasione per riflettere sul tema del paesaggio e del nostro coinvolgimento emotivo con esso, frutto di una paziente sperimentazione di tecniche diverse, dal disegno alla pittura e alla scultura fino al video. L’artista attiva processi di riduzione del segno figurativo e d’indagine sulla natura della visione, mettendo in luce nuove possibilità di ricerca che pongono “l’osservazione minuziosa e interiorizzata come codice interpretativo”, citando le sue parole.

Introduce la mostra un video dal titolo Mi disperdo e proseguo lasciandomi indietro un passo dopo l’altro la cui colonna sonora è interpretata dal vivo da Alessio de Girolamo con il quale Luca Pancrazzi ha formato, l’estate scorsa, il gruppo Agosto Insolito, durante la consueta residenza Madeinfilandia di Pieve a Presciano. Gli artisti hanno in comune l’interesse per il suono e la ricerca del limite, inteso come orizzonte e superamento del gesto pittorico. Luca Pancrazzi disegna un orizzonte sul muro della galleria, con una finissima grafite nera, ad altezza dell’occhio dello spettatore perché è lui che deve attivare l’opera col suo sguardo. L’uomo è misura del paesaggio che lo circonda e la linea con cui l’artista definisce l’orizzonte innesta, in chi osserva, un processo emotivo simile a quello che si prova davanti al taglio sulla tela di Lucio Fontana: una possibile apertura verso l’altrove, una terza dimensione oltre i limiti imposti dalla bidimensionalità. Intuizioni che ritroviamo nel lavoro di Alessio de Girolamo, nella sua ricerca sui limiti dei massimi sistemi, attraverso l’uso del suono, che crea ambienti tridimensionali. Afferma de Girolamo: “il concetto di orizzonte è la metafora di una sfida per il pensiero, lo stimolo al raggiungimento di un traguardo che muta continuamente se stesso. Il suono campionato della matita dell’artista è la traccia sonora su cui ho lavorato, che ho processato evolvendolo in un climax che parte dal suono originale, diventando paesaggio sonoro urbano per sparire nel limite di percezione degli ultrasuoni”. A questo ampio respiro, dove risuonano spazi aperti, fa da controcanto il lavoro minuzioso di Luca Pancrazzi. Sulla linea di orizzonte dipinta sul muro, con un gesto automatico, l’artista continua un processo quasi opposto, che lui definisce “ai limiti del pittoresco”, cogliendo le minime imperfezioni della parete, dei piccoli sbagli o “incidenti del pennello con la superficie”, che trasforma in edifici fino a comporre uno skyline.

Luca Pancrazzi presenta a Palermo un’unica installazione composta da diversi cicli di opere realizzate attraverso molteplici tecniche e adattate alle dimensioni ambientali degli spazi che le ospitano, una serie di composizioni in cui definisce una sua originale intuizione della interazione tra l’io e il paesaggio circostante: un grande wall drawing dallo stesso titolo del video, un’installazione a parete composta da una sequenza di 24 chine su carta, China Industriale (proseguo), realizzate 2016 e tre mappe della serie Senza Confine.

Le mappe geografiche a rilievo sono “cancellate” dalla pittura bianca e perdono ogni riferimento politico, non ci sono più confini. La pittura qui è intesa come azione propositiva, costruttiva, e la cancellazione offre una nuova possibilità ai luoghi. Due mappe sono inserite in una porzione della parete della galleria così la vernice del muro si eleva a pittura e la sagoma dell’Italia insieme alla Sicilia si perdono in un grande mare bianco. Non c’è più confine tra terra e mare, tutto è cancellato, ogni cosa può diventare altro in una dimensione soggettiva del tempo e dello spazio.

Il titolo della mostra, Dove Sempre Come Sai, è ripreso da un acquerello su carta del 2016 . Titolo e immagine: nelle parole l’artista evoca un luogo d’incontro preciso e consueto, come in una conversazione tra due persone che si conoscono e che hanno elaborato un abituale codice di comunicazione verbale, mentre l’immagine rimanda ad un paesaggio non riconoscibile che può essere qualsiasi luogo, anzi, un non-luogo. Il riferimento al titolo del celebre testo di Marc Augé non è casuale, in quanto l’artista ha iniziato la sua ricerca sull’iconografia architettonica dalla fine degli anni Ottanta in poi e si è confrontato direttamente con l’antropologo francese autore del testo per il catalogo della sua personale del 1996, alla Galleria Emilio Mazzoli di Modena, All’ombra del tempo. In Italia, proprio a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, Luca Pancrazzi insieme a Stefano Arienti, Amedeo Martegani, Mario Dellavedova sono alcuni tra gli esponenti di una nuova generazione di creativi che ha iniziato a lavorare attraverso gesti lievi in una direzione post-minimalista tutta Italiana, che è stata seminale anche per la generazione successiva, soprattutto per gli artisti che si sono formati a Milano. Alighiero Boetti è il maestro riconosciuto di questa generazione, di cui Pancrazzi è stato assistente in gioventù, fino al 1991. In particolare, Pancrazzi e Arienti sono accomunati da un’attitudine “decentrata”, rivolta a “corrodere lentamente, a rivelare la debolezza congenita che si nascondeva nelle estroverse e confidenti immagini del decennio precedente”, come scrive Luca Cerizza nel suo saggio intorno alla “questione della leggerezza nell’arte italiana” .

Le immagini elaborate da Luca Pancrazzi ricreano paesaggi inventati, periferie urbane prive di caratterizzazione, svuotate da ogni presenza umana. Edifici industriali in cui è accentuata la geometria dei volumi e delle prospettive, come in una città ideale Rinascimentale. È come se lo spazio e il tempo fossero sospesi, non in un’evocazione metafisica delle Piazze d’Italia di De Chirico, ma perché privati di contenuto e di memoria. Sono luoghi che ci inducono ad una ricerca di significato che è l’antidoto alla “quotidiana perdita”, come afferma l’artista, “la necessità di salvarsi dal naufragio è sostituita con il naufragio dell’anima persa e diffusa nel paesaggio stesso che si va a dipingere e a riconoscere”.